Pacchetto di sgravio, freno all’indebitamento… Se dovessimo scegliere la parola politica dell’anno, non avremmo grandi difficoltà. Ascoltando la maggioranza borghese in Parlamento e leggendo i principali organi di informazione, si ha la sensazione che il Paese si trovi sull’orlo di una bancarotta. Una narrazione deliberata per giustificare una politica finanziaria sempre più restrittiva che si concretizza in pacchetti di tagli alla spesa in nome del freno all’indebitamento. A subirne le conseguenze sono la stragrande maggioranza della popolazione, ma anche le piccole e medie imprese (PMI) e, naturalmente, il personale della Confederazione, delle imprese parastatali e dei Politecnici.
In Svizzera tendiamo a elogiare il nostro sistema politico in modo molto parziale e acritico, pensando che sia migliore degli altri. È vero, la Svizzera fa bene molte cose. Ma è anche vero che il dibattito pubblico, caratterizzato spesso da arroganza e ignoranza, tende a indossare i paraocchi. Ad esempio, il «successo» della Svizzera non è dovuto esclusivamente alla politica finanziaria restrittiva, come la popolazione è portata a credere. Questa visione è riduttiva e non solo mette in ombra le reali conquiste del nostro Stato, ma le esclude.
La prosperità della Svizzera si basa sulla perequazione sociale
La prosperità del nostro Paese non si basa su una politica finanziaria restrittiva. Al contrario, le principali conquiste del nostro Stato democratico affondano le loro radici nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. All’epoca, lo Stato di diritto democratico e sociale era visto come una forma di protezione per la maggioranza della popolazione contro il potere dei ricchi e dei possidenti. C’era la volontà di creare un’«unione sociale» che assumesse compiti di ampio respiro: al centro non c’era soltanto lo Stato sociale ma si puntava anche – sulla base di una politica economica anticiclica secondo Keynes – a una sorta di «welfare per tutti» che coinvolgesse un gran numero di imprese, piccole e medie ma importanti. Questo benessere porta alla creazione di una forte classe media. Oggi si sente spesso dire che la politica è fatta soprattutto per questa classe e per le PMI. In realtà, le decisioni prese dalla maggioranza politica stanno mettendo sempre più sotto pressione proprio queste due categorie.
Fiscalità come strumento di perequazione sociale
Dopo la Seconda guerra mondiale, in Europa ma anche negli Stati Uniti, per garantire la perequazione sociale si decide di tassare fortemente i ricchi e i possidenti per permettere allo Stato sociale di assicurare a tutti un certo benessere. Senza il boom economico registrato tra gli anni 1950 e gli anni 1980 e senza la politica fiscale progressiva che ha permesso di costruire e stabilizzare un sistema di assicurazione sociale statale, difficilmente si sarebbe sviluppata una classe media come la conosciamo oggi. Questo vale per la Svizzera, ma anche per la maggior parte dei Paesi industrializzati occidentali che conoscono o hanno conosciuto una grande classe media.
Lo stato sociale sotto costante attacco
All’incirca dagli anni 1980, lo Stato sociale è costantemente sotto attacco ed ha dovuto accettare una serie di vincoli e ridimensionamenti. Negli anni 1980, la premier britannica Margareth Thatcher e il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan diventano i paladini della deregulation, ossia della rimozione di freni statali alla libera impresa, spianando la strada ai principi neoliberali, e con essi, al principale avversario dello Stato sociale. L’obiettivo: indebolire lo Stato. Questa «terapia d’urto», termine coniato e promosso dai Chicago Boys, viene perseguita con particolare rigore in Inghilterra e negli Stati Uniti. Con meno Stato e più responsabilità personale, in entrambi i Paesi è ormai un privilegio appartenere alla classe media.
Il neoliberismo come ideologia della minoranza
Alla popolazione si fa costantemente credere che lo Stato debole sia vantaggioso anche per i cittadini e questa strategia è resa appetibile con piccoli regali fiscali alla classe media. Allo stesso tempo, si assiste a un aumento sensibile delle tasse antisociali o di altre imposte capitarie. Di conseguenza, sempre più persone appartenenti alla classe media si trovano sotto pressione, tanto che nei sondaggi esprimono regolarmente il timore di una regressione nella scala sociale.
Lo smantellamento dello Stato sociale va di pari passo con massicci tagli fiscali per il 10% dei più ricchi, con vaste privatizzazioni e con la deregolamentazione dell’economia e culmina in una politica finanziaria restrittiva con l’introduzione del freno all’indebitamento (2001).
Torniamo al 2024. Sono mesi che la consigliera federale nonché ministra delle finanze Karin Keller-Sutter descrive scenari finanziari catastrofici per lo Stato svizzero. La soluzione che la ministra e il Consiglio federale propongono consiste in un pacchetto di sgravi per alcuni miliardi di franchi. Si profila un nuovo pesante colpo d’ascia per lo Stato sociale e secondo la massima responsabile del personale della Confederazione, anche il personale federale dovrà fare la sua parte. La maggioranza di centro-destra in Parlamento applaudirà e probabilmente andrà oltre quanto proposto dal Consiglio federale.
I tagli previsti colpiranno però soprattutto le fasce più ampie della popolazione che dipendono in misura maggiore dai finanziamenti per gli asili nido, le pensioni, i trasporti pubblici e la mobilità in generale rispetto a quelle che hanno un reddito elevato.
Il personale federale viene doppiamente penalizzato. Il rapporto del gruppo di esperti guidato da Gaillard e soprattutto dal prof. Schaltegger (capo dell’IWP), entrambi (ex) dipendenti statali lautamente retribuiti, parla chiaro: oltre alla riduzione delle sovvenzioni e del sostegno alle prestazioni statali, il personale federale non riceverà alcuna compensazione del rincaro fino al 2028 e il numero di equivalenti a tempo pieno (ETP) nell’Amministrazione federale dovrà essere ridotto in modo massiccio. Eventuali nuove prestazioni dovranno essere fornite con lo stesso numero di ETP. Per capire le conseguenze che queste misure avranno sul personale federale non servono studi approfonditi: basta un briciolo di buon senso. In futuro, i servizi pubblici verranno ridimensionati oppure aboliti per privilegiare nuove priorità oppure l’Amministrazione federale dovrà diventare sempre più efficiente. Tuttavia, dal momento che nella maggior parte degli uffici il personale è già spremuto come un limone, le condizioni di lavoro non potranno che peggiorare in modo massiccio (aumento delle ore lavorative, riduzione degli stipendi). Alla luce dello studio comparativo recentemente pubblicato da PwC sulle condizioni di lavoro nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato, questo peggioramento ridurrebbe fortemente la competitività della Confederazione rispetto ai suoi concorrenti diretti. Il personale federale dovrebbe accettare una perdita di potere d’acquisto e aspetti importanti come l’equilibrio tra lavoro e vita privata ne risentirebbero ancora di più.
Il recente pacchetto di tagli proposto da Karin Keller-Sutter e dal Consiglio federale in corpore mette quindi a rischio non solo le condizioni di lavoro e di vita del personale federale e le migliaia di posti di lavoro nell’Amministrazione federale, ma anche la perequazione sociale.
Il recente pacchetto di tagli proposto da Karin Keller-Sutter e dal Consiglio federale in corpore mette quindi a rischio non solo le condizioni di lavoro e di vita del personale federale e le migliaia di posti di lavoro nell’Amministrazione federale, ma anche la perequazione sociale. Questo è allarmante ed è ancora più grave se si considera che quest’anno l’elettorato svizzero ha inviato al Consiglio federale e ai parlamentari dei partiti borghesi un segnale molto chiaro in materia di politica sociale approvando la 13a rendita AVS e bocciando la riforma della LPP.
Per giustificare questa politica di austerità, viene sistematicamente chiamato in causa il freno all’indebitamento accettato nel 2001 dall’85% della popolazione. Questo meccanismo viene messo al di sopra di tutto e prevale anche quando l’elettorato ritiene che si debba intraprendere una strada diversa, ad esempio nel campo della previdenza per la vecchiaia. L’introduzione di questo strumento in una versione estremamente restrittiva è stata un’abile mossa dei «paladini del risparmio» sotto la cupola di Palazzo federale. Dopo tutto, chi vuole accumulare debiti senza controllo? Gli esempi negativi di altri Paesi non mancano. Oggi il freno all’indebitamento è la causa principale della redistribuzione dal basso verso l’alto mentre una redistribuzione sensata dall’alto verso il basso è ostacolata dalla maggioranza politica e dallo stesso freno all’indebitamento. E questo anche se il popolo sovrano vuole e chiede il contrario. Chi non ci crede non ha bisogno di leggersi complessi studi economici: basta scorrere la classifica delle 300 persone più ricche della Svizzera pubblicata ogni anno, da 30 anni, dalla rivista Bilanz e osservare l’evoluzione dei rispettivi patrimoni. Ebbene, oggi il 10% di loro possiede circa 3500 miliardi di franchi, ossia il 75% della ricchezza privata svizzera, e questa cifra cresce ogni anno.
L’attuale dibattito sulle misure di risparmio e le soluzioni proposte dimostrano che non c’è la volontà di abbandonare questa politica e che ci si vuole attenere fedelmente ai principi del freno all’indebitamento. La maggior parte delle misure riguardano lo Stato sociale, la classe media o, attraverso i tagli proposti nell’Amministrazione federale, il personale federale.
Da decenni sembra che l’unico argomento di discussione siano le misure di risparmio e di rinuncia. Nel nostro Paese, uno dei più ricchi del mondo, le conquiste socio-politiche vengono regolarmente sacrificate. Questo ha un impatto diretto sulla vita quotidiana di un’ampia fetta della popolazione. A farne le spese non è solo il sistema sanitario, dove si osserva un abbandono precoce della professione da parte di molti operatori specializzati, ma anche le scuole dell’obbligo pubbliche dove si registra una crescente carenza di personale qualificato.
Nel frattempo, la maggioranza politica ha instaurato un sistema che consente ai redditi più alti e alle grandi aziende di beneficiare di massicce agevolazioni fiscali. Dagli anni 1990, il potenziale gettito «perso» con queste agevolazioni è dell’ordine di circa 30 MILIARDI DI FRANCHI all’anno.
Questi «regali» alla fascia più ricca della popolazione (10%) fanno difetto altrove: per le infrastrutture, i servizi pubblici e l’Amministrazione federale – affinché resti competitiva, mantenga condizioni di lavoro sane per il personale e offra posti di lavoro innovativi e orientati al futuro.
Per la classe media, alla quale appartiene anche la maggior parte dei dipendenti federali, tutto ciò si traduce in un’ulteriore stagnazione dei salari, un aumento degli affitti e dei premi di cassa malati e, di rimando, in una perdita del potere d’acquisto.
Per la classe media, alla quale appartiene anche la maggior parte dei dipendenti federali, tutto ciò si traduce in un’ulteriore stagnazione dei salari, un aumento degli affitti e dei premi di cassa malati e, di rimando, in una perdita del potere d’acquisto. Per non parlare delle prospettive in costante calo delle rendite per i lavoratori di mezza età.
Questa politica finanziaria restrittiva e i pacchetti di misure di risparmio non sono nell’interesse della maggior parte della popolazione. Serve uno stop. Questo non significa che la gestione delle finanze pubbliche e del debito pubblico debba essere scriteriata e senza limiti. Al contrario: serve una politica finanziaria prudente. Una politica finanziaria che serva gli interessi del 90% della popolazione e che porti loro finalmente un vero sgravio.